Berlusconi e Veltroni, piani simili e non abbastanza coraggiosi
di Elysa Fazzino
«Molti italiani hanno pensato fosse un pesce d'aprile»: la sentenza con cui il Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso della Dc di Giuseppe Pizza fa notizia anche sull'Economist, che ha ritagliato uno spazio dell'ultima ora sul timing delle elezioni accanto a un servizio sull'economia italiana, «Piani rivali». «Entrambi i principali partiti hanno piani simili, ma nessuno è abbastanza coraggioso». Secondo il settimanale britannico, che ha rilasciato un'anticipazione del prossimo numero in edicola, l'affermazione che colpisce di più in questa campagna elettorale è quella scritta nel programma di Silvio Berlusconi: «Non facciamo, né promettiamo, miracoli». Eppure, scrive l'Economist, «Mr. Berlusconi ha fatto la sua fortuna (e carriera politica) propalando sogni». La minaccia di una recessione mondiale, più la fragilità economica dell'Italia, «ha riportato perfino lui con i piedi sulla terra».
La dimensione dei problemi economici dell'Italia – scrive il settimanale - ha spinto i leader di Pdl e Pd ad avanzare proposte sorprendentemente simili. Il governo Prodi – secondo l'Economist - è caduto in parte perché ha tentato di ridurre il deficit, come chiede la Commissione europea, alzando le tasse e colpendo l'evasione fiscale. I suoi potenziali successori «sembrano accettare» il fatto che anche loro devono tagliare la spesa. Veltroni punta a diminuire la spesa corrente dello 0,5% del Pil il primo anno e dell'1% nei due anni successivi. «Berlusconi è meno specifico, anche se più convincente sui mezzi» e parla di «digitalizzazione» dell'amministrazione. «ma nessuno ammette che tagli seri devono portare a perdite di posti di lavoro che provocheranno un conflitto diretto con i potenti sindacati italiani».
Entrambi i partiti «dicono che vogliono tagliare le tasse, ma entrambi hanno grandi nuovi piani di spesa». I democratici promettono di trasferire i benefici della lotta all'evasione sui lavoratori dipendenti e promettono tagli delle aliquote delle imposte sul reddito dal 2009. Berlusconi promette di eliminare una tassa sulla proprietà, la tassa di successione e la tassa sulle donazioni per contribuire a portare il peso fiscale sotto il 40% del Pil. Ma il manifesto del Popolo della Libertà prevede «autostrade fin sotto le Alpi e un ponte per collegare la Sicilia al continente», mentre i democratici si impegnano a spendere di più per il welfare.
Tutto ciò non lascia molta possibilità «per ridurre i vasti debiti dell'Italia». Entrambi dicono che lo Stato ha molti beni da vendere, 700 miliardi di euro, secondo le stime del Pdl. Gli incassi potrebbero creare un «circolo virtuoso», riducendo gli interessi e liberando risorse per tagliare le tasse e aumentare le spese. «E' difficile credere – osserva tuttavia l'Economist - che le vendite di beni possano coprire sia per la riduzione del debito sia aumenti di spese e tagli di tasse». Per di più, c'è il problema che due terzi dei beni pubblici sono di proprietà non del governo centrale ma delle autorità regionali, provinciali e locali.
In Italia c'è un altro paradosso, secondo l'Economist: anche se il centro-sinistra si è aperto alle idee liberiste, il centro-destra le ha «abbandonate». L'articolo cita come esempio le barriere tariffarie all'import dall'Asia evocate da Giulio Tremonti e l'opposizione di Berlusconi alla vendita di Alitalia ad Air France. Sia lui che Veltroni, «sono vaghi sui piani per la deregulation e per introdurre maggiore concorrenza». Veltroni ha promesso una legge di liberalizzazione all'anno, ma «il suo programma dà solo un'idea abbozzata di quello che ciò comporterebbe». «L'Italia – conclude l'Economist – ha bisogno di più chiarezza in questo campo se vuole evitare di affidarsi ai miracoli».
(Economist 3 aprile 2008)
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