venerdì 18 aprile 2008

Bruce con Obama


Bruce sceglie Obama: «La mia America»
L'autore di «Born in the Usa»: è il migliore. Nel 2004 sostenne John Kerry, ma non fece la differenza

WASHINGTON — A Hillary Clinton, che lo accusa di essere un elitario e di non capire la classe operaia, Barack Obama ha dato ieri una risposta eloquente. O meglio, l’ha data per lui Bruce Springsteen, il bardo dei «bluecollars», la rockstar che da trent’anni canta l’America devastata ma fiera delle città industriali e che ora ha deciso di scendere in campo per appoggiare il senatore democratico dell’Illinois. «Come molti di voi ho seguito la campagna e credo di avere visto e udito abbastanza per sapere che Barack Obama sia di gran lunga il miglior candidato», ha scritto il Boss in una lettera ai fan pubblicata sul suo sito Internet. Per Springsteen, il senatore afro-americano «ha lo spessore, la capacità di riflettere e la determinazione per essere il nostro prossimo presidente, quello che ci può guidare nel Ventunesimo secolo con un rinnovato senso di missione morale». Di più, «Obama parla all’America che racconto da 35 anni con la mia musica, una nazione generosa, con una popolazione disposta ad affrontare problemi intricati e complessi, un Paese interessato al suo destino collettivo e al potenziale del suo spirito comune».

Nel motivare la sua scelta, il cantante che fece di «Born in the Usa» una sorta di inno dell’orgoglio operaio, non rinuncia a entrare direttamente nella polemica di questi giorni, pur senza menzionare per nome Hillary Clinton. «Alcuni critici hanno tentato di demolire Obama, esagerando certi suoi commenti e relazioni personali», ha scritto Springsteen, riferendosi alla frase sui «disoccupati frustrati della Pennsylvania che trovano sfogo nelle armi e nella religione», pronunciata da Barack a San Francisco, e ai suoi rapporti con il pastore antisemita di Chicago, Jeremiah Wright. «Per quanto siano temi degni di essere discussi— così la rockstar —, essi sono stati estrapolati dal contesto e dalla sostanza della vita e della visione di Obama, spesso per distrarci dai veri temi: la guerra e la pace, la lotta per la giustizia economica e razziale, la difesa della Costituzione, la protezione del nostro ambiente». L’endorsement di Springsteen per Barack giunge a pochi giorni dalle primarie della Pennsylvania, Stato operaio per definizione, dove Hillary spera proprio nei «bluecollars » per una vittoria che tenga in vita le sue poche speranze di strappare la nomination democratica, ormai alla portata di Obama. Il cantante ha invitato gli elettori a «considerare il terribile danno compiuto negli otto anni trascorsi» e dare il via a «un grande progetto che ci restituisca l’America».

Non è la prima volta che Bruce Springsteen si schiera con un candidato democratico alla Casa Bianca. Nel 2004 pagò un alto prezzo alla sua popolarità, facendo campagna per John Kerry. Il suo cavallo di battaglia fu The Promised Land, celebre per i versi «ho fatto del mio meglio per vivere nel modo giusto/ mi alzo ogni mattina e vado a lavorare/ ma qualche volta mi sento così debole che vorrei esplodere/ esplodere e buttare giù tutta la città/ prendere un coltello e tagliar via questa pena dal cuore». Probabilmente lo aiutò con i suoi concerti a conquistare il Wisconsin e la stessa Pennsylvania. Ma non fece la differenza in Ohio, dove nonostante una leggendaria performance a Cleveland alla vigilia del voto, George W. Bush vinse lo Stato e con quello la Casa Bianca. Per fortuna di Obama, il Boss aveva già in programma due concerti il 27 e il 28 in North Carolina, a pochi giorni dalle cruciali primarie di quello Stato. Ma il valore dell’endorsement di Springsteen a Barack è soprattutto simbolico, offrendogli una sponda per deviare l’accusa di elitismo, che in questi giorni ha occupato tutto il dibattito elettorale, costringendolo a difendersi.

Paolo Valentino
(corriere della sera 17 aprile 2008)

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